Landini walk alone: così la Cgil ha deciso di rompere con tutti

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Il 12 dicembre il sindacato sciopera in solitaria, ma dietro la protesta c’è un calcolo politico non una battaglia salariale
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Poche settimane fa, il 3 ottobre, ci fu un massiccio concorso di folle nelle piazze italiane, per lo sciopero generale allora indetto dalla Cgil nello stesso giorno in cui l’avevano proclamato un gran numero di sindacati di base e della confederazione Cobas. Non era una proclamazione formale congiunta, ma la sostanza quella era. Il collante vero al tempo fu la protesta contro Israele e a favore del movimento pro Pal, con enormi ambiguità e silenzi su Hamas e il terrorismo. Ma, di fatto, fu una data significativa. La lunga deriva impressa da Landini alla Cgil si riannodava finalmente ai sindacati di base verso cui per decenni si erano rivolti sorrisini di malcelata superiorità. Ma quel filo diretto si è già rotto, in poche settimane.
Stizzita ancora una volta dal fatto che i sindacati di base avevano già convocato in proprio per il 28 novembre lo sciopero generale contro la legge di bilancio, la Cgil di Landini ha deciso di rimanere sorda all’appello esplicito venuto dai sindacati di base per uno sciopero proclamato in comune, e sostenuto da un appello pubblico “facciamo come il 3 ottobre” che aveva raccolto nelle Rsu vasti consensi e simpatie. La stizza è prevalsa, di qui la decisione Cgil del suo sciopero generale contro la manovra finanziaria per il prossimo 12 dicembre. Uno sciopero in solitudine. La Cisl non partecipa da tempo a questo rito comune e sovra reiterato, che a furia di ripetersi ha perso ogni impatto proprio sui temi di volta in volta sollevati nelle piattaforme rivendicative. Anche la Uil, che negli ultimi anni aveva affiancato spesso sui temi nazionali l’antagonismo di Landini, con recenti interviste del suo segretario generale Bombardieri ha mollato la presa, riconoscendo che in legge di bilancio su alcuni temi il sindacato è stato ascoltato e i lavoratori non hanno avuto la peggio. Distinguiamo questioni diverse: il merito del nuovo sciopero generale walk alone della Cgil, lo stato dei rapporti sindacali, l’effetto sulle relazioni industriali.
La prima questione è semplice: per Landini la manovra doveva porsi un problema sopra tutti, l’aumento dei salari. Aumento che, per Landini, deve decidere la politica, non i contratti. Inoltre, una patrimoniale per mezzo milione di italiani: “500 mila persone ricche, basterebbe un loro contributo al fisco di un 1% della loro ricchezza per avere 26 miliardi da investire nella sanità, per le assunzioni, sulla scuola, per aumentare gli stipendi a tutte le persone “. Se la legge di bilancio avesse fatto una netta scelta pro-impresa, forse si potrebbe capire meglio. Ma anche questa legge di bilancio batte invece la via preferenziale del premio ai redditi dei lavoratori, e dopo due finanziarie in cui lo si faceva con gli sgravi contributivi questa volta lo si fa abbassando al 33% l’IRPEF fino a 50 mila euro di reddito. Le imprese in questi tre anni hanno ricevuto bastonate. Via il Patenti Box, via l’Ace, ora via l’Ires premiale nata e morta nel 2024, e in sovrappiù una bella manganellata fiscale ai redditi d’impresa da aziende partecipate, il divieto alla compensazione dei crediti d’imposta attraverso contributi e tasse da versare allo stato, e una bella tosatura tributaria a banche e assicurazioni. Difficile definirla una manovra “tutta per il capitale, niente per il lavoro”. Infatti Cisl e Uil l’hanno riconosciuto, pur criticando difetti che alla legge di bilancio non mancano. Se invece consideriamo il rapporto Cgil-sindacati di base, sfugge il senso del 12 dicembre solitario.
L’estremizzazione politica progressiva dei toni nazionali della Cgil dovrebbe portarla a far fronte comune con sigle sindacali della sinistra estrema che in questi anni hanno visto il loro consensi crescere nel mondo del lavoro, non scendere. Se l’agenda politica vince sui temi della contrattazione, il famigerato “campo largo” dovrebbe portare la Cgil esattamente a “fare come il 3 ottobre”. Terzo: in realtà i toni estremi sono sempre più lontani dalla realtà dei tavoli contrattuali. Nel mondo pubblico, i sindacati di base hanno preso piede per la durezza delle loro richieste di settore.
Nelle categorie industriali, nessuno o quasi fa caso che ad aprile il contratto dei chimici sia stato rinnovato in anticipo sulla scadenza e senza un giorno di sciopero. Mentre quello dei metalmeccanici è in stallo, malgrado sia quello in Italia con il maggior recupero dell’inflazione per via contrattuale, perché la Cgil ha impiccato tutti alla richiesta di più salario tutto e subito, senza dare ascolto alle proposte di accrescere di molto il welfare aziendale e il sostegno alle famiglie dei lavoratori.
A conferma che mischiare logiche della politica e problemi concreti del lavoro genera solo situazioni di cui sono i lavoratori a pagare gli eventuali rischi.
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