José Antonio Rojas Nieto: Economia politica dell'energia: il quarto

Economia politica dell'energia: la quarta
José Antonio Rojas Nieto
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Lasciatemi ribadire che Costruire un futuro energetico a lungo termine richiede una partecipazione sociale ampia e intensa, in grado di instaurare abitudini sociali, personali, familiari, collettive, pubbliche, aziendali, agricole, industriali, commerciali e finanziarie rinnovate, per usare un eufemismo.
È indubbiamente vero che, accanto a queste abitudini – spesso cattive – sono necessarie almeno cinque linee guida strategiche, cinque impulsi essenziali per guidare la nostra trasformazione energetica, che evidentemente include la nostra transizione energetica:
1) Una spinta al cambiamento della struttura economica, indubbiamente supportata dai cambiamenti sociali; 2) una spinta al cambiamento tecnologico in grado di originare, energizzare e sostenere rinnovate abitudini sociali; 3) una spinta verso politiche pubbliche favorevoli, motivanti e congruenti, di lungo periodo e coerenti; 4) una spinta verso una digitalizzazione in grado di supportare e incoraggiare, persino ispirare, i cambiamenti mirati; 5) una spinta verso una massima disgregazione del rapporto tra consumo energetico e sviluppo economico, in modo da ottenere il massimo benessere con la minima spesa energetica possibile.
Oggi possiamo anche dire che gli indicatori fondamentali che ci permettono di valutare il successo della nostra trasformazione energetica sono: 1) la diminuzione dell'intensità energetica, con una solida partecipazione della forza lavoro nei processi industriali rinnovati e una chiara attenzione alla riduzione dei costi; 2) l'aumento dell'energia pulita, con accordi sociali puliti, in particolare sui terreni comunali, collettivi, ejidi, municipali, statali, federali e privati con risorse almeno idrauliche, geotermiche, eoliche e solari; 3) l'aumento analogo dell'elettrificazione negli usi finali, con attenzione alla qualità e all'affidabilità della fornitura e al trattamento equo dei lavoratori dell'elettricità e degli utenti dei servizi pubblici; 4) il massimo incentivo, ma ottimale in termini di risorse e requisiti, delle forme di generazione distribuita, principalmente nelle abitazioni e nei piccoli stabilimenti artigianali, industriali e commerciali; 5) l'integrità finanziaria in ogni senso, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti.
Questo, ovviamente – lo ripeto – richiede il consenso sociale, ma, prima o poi, anche normative che penalizzino lo spreco energetico, l'abuso, la ricerca di rendite, la speculazione e l'usura, ovunque si verifichino, tra gli altri fenomeni sociali di cui siamo vittime. Solo così potremo ottenere un volume equo di combustibile ed elettricità per sostenere una vita sociale rinnovata, nonché una struttura e una distribuzione altrettanto eque, e una produzione e un consumo equi di combustibile ed elettricità.
Le politiche pubbliche possono e devono favorire, promuovere e sostenere queste abitudini rinnovate, ma non sostituiranno mai la forza e la determinazione della società.
La giustizia energetica richiede comportamenti sociali che riducano i danni ecologici, combattano i disastri climatici, eliminino la speculazione e gli abusi e favoriscano un maggiore benessere per le società.
E, senza dubbio, una prospettiva di vita più incoraggiante, con una maggiore speranza in un graduale ma costante declino delle disuguaglianze. Davvero.
jornada