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Tutto quello che l’Italia può imparare dalla Germania sul salario minimo

Tutto quello che l’Italia può imparare dalla Germania sul salario minimo

La Commissione tecnica alza il salario minimo a 14,6 euro nel 2027, un livello più basso dei 15 euro già concordati nell'accordo di governo. Imprese e sindacati rivendicano l'autonomia e chiedono alla politica di fare un passo indietro. L'opposto del modello Conte-Schlein

La Germania si prepara ad alzare il salario minimo orario dai 12,82 euro attuali a 13,9 euro nel 2026 e a 14,6 euro nel 2027, il livello in valore assoluto più alto d’Europa dopo il Lussemburgo. Gran parte della discussione in Italia riguarda il valore monetario del salario minimo, ma l’aspetto più interessante del modello tedesco – e che lo ha reso un caso di successo nella riduzione dei lavoratori con bassi salari – è quello istituzionale. Perché la decisione non è stata presa attraverso una proposta di legge in Parlamento, come il centrosinistra intende fare in Italia, né attraverso un decreto del governo, ma dopo una valutazione di una commissione indipendente, la Mindestlohnkommission, che anzi ha contraddetto un accordo politico che sembrava chiuso.

L’accordo di grande coalizione Cdu-Spd che un paio di mesi fa ha fatto nascere il governo di Friedrich Merz indicava, infatti, come punto fondamentale richiesto dai socialisti un aumento del salario minimo a 15 euro l’ora a partire dal 2026. La Commissione sul salario minimo, invece, nonostante la forte pressione politica dei giorni precedenti, ha stabilito che si arriverà a 14,60 euro (quindi sotto i 15 euro) e solo in due anni. E il risultato è che il ministro del Lavoro, che è anche la nuova leader della Spd, Bärbel Bas ha già manifestato l’intenzione di voler attuare la proposta della Commissione rinunciando alla propria.

Ma da dove arriva l’autorevolezza della Commissione? Innanzitutto dalla sua composizione: il comitato è infatti formato da due accademici che però non hanno diritto di voto, tre rappresentanti dei sindacati, tre dei datori di lavoro e un presidente che ha il compito principale di mediare tra le parti e, solo in caso di stallo, può votare. In secondo luogo, la Commissione ha un mandato istituzionale preciso, che è quello di individuare la soglia del salario minimo avvicinandosi al parametro di riferimento del 60% del salario mediano, valutando però anche situazioni eccezionali e le ricadute su settori specifici o regioni particolari oltre che sulla produttività, in modo non produrre conseguenze negative sull’occupazione.

Anche questa volta, come quasi sempre accade, la Commissione ha trovato un accordo all’unanimità. È stato un segnale importante la presidente, insieme ai rappresentanti delle imprese e dei lavoratori, ha respinto le pressioni politiche che chiedevano un livello più elevato rivendicando la propria autonomia. Il compromesso non era semplice, perché da un lato i partiti – soprattutto la Spd – chiedevano i 15 euro l’ora e dall’altro le imprese, in particolare quelle delle regioni dell’est dove la produttività è più bassa, non volevano aumenti ulteriori in una situazione di incertezza economica. Di fronte a questa compattezza del mondo produttivo tedesco, la politica non può che fare un passo indietro.

La discussione sul salario minimo in Italia, per come l’hanno impostata Pd e M5s e tutti i partiti che vogliono introdurlo, si basa su un modello opposto a quello tedesco. In primo luogo, la soglia del salario minimo verrebbe indicata e fissata per legge dal Parlamento. È il metodo peggiore, ben distante dalle esperienze che funzionano come quella tedesca o britannica (anche lì c’è una Low pay commission), perché trasforma una questione che è in parte tecnica e ha importanti risvolti sul tessuto produttivo e occupazionale in un tema di campagna elettorale, in cui ognuno offre un euro un più. I risultati di questo metodo populista sono chiari già nella soglia di 9 euro l’ora definita dalle forze di sinistra. Una cifra esagerata.

Il confronto, infatti, non va fatto con il valore assoluto del salario minimo della Germania (ora 12,82 euro) ma con il parametro, indicato anche dalla direttiva europea, del 60% del salario mediano. La retribuzione mediana oraria in Italia è 11,75 euro (dati Istat, 2022) quindi vuol dire che 9 euro l’ora sono pari al 75% del salario mediano. Si tratterebbe del livello di gran lunga più elevato d’Europa, dove il salario minimo è tra il 50% e il 60% (il più alto è in Francia al 66%, dati Eurostat 2022). La nuova soglia tedesca resta al di sotto del 60% del salario mediano. Quando la Germania, nel 2015, introdusse il salario minimo partì con una soglia di 8,5 euro l’ora che era pari a circa il 45% del salario mediano. Se l’Italia volesse attestarsi alla soglia del 60%, che sarebbe comunque tra le più alte in Europa, il salario minimo dovrebbe essere attorno ai 7 euro l’ora. Ma è un numero spendibile in campagna elettorale? Chi potrebbe ora pensare di raccogliere voti su una proposta sensata dopo che Giuseppe Conte, Elly Schlein e anche Carlo Calenda hanno già offerto due euro in più?

L’altro aspetto rilevante è culturale. Perché l’assetto istituzionale, che l’Italia potrebbe facilmente mutuare dalle migliori esperienze internazionali, non è sufficiente se non sono presenti un senso di responsabilità tra le parti sociali e una solida cultura della contrattazione. È ciò che spinge la Deutscher Gewerkschaftsbund (Dgb), la più grande confederazione sindacale della Germania, a chiedere alla politica (in particolare alla Spd) di rispettare l’accordo con i datori e l’autonomia della Commissione, rinunciando al proposito dei 15 euro l’ora. Qualcuno immagina in Italia che la Cgil di Maurizio Landini possa mai farsi scavalcare nel populismo firmando un accordo che offre un solo centesimo in meno di Giuseppe Conte o Elly Schlein?

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