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Non si può tornare all’edilizia pubblica anni 70. Parla Cottarelli

Non si può tornare all’edilizia pubblica anni 70. Parla Cottarelli

Foto Ansa

il colloquio

Per l'economista un piano casa sociale a Milano è insostenibile senza capitali privati e adeguati margini di profitto. Criticato da più fronti, difende la necessità di “costruire più case, ma con numeri sostenibili"

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“Negli anni Settanta il piano Fanfani si assunse l’onere di realizzare in Italia un massiccio intervento di Edilizia residenziale pubblica, ma ricordiamoci che quel piano fu in perdita. Oggi lo stato non dispone più di risorse sufficienti e deve coinvolgere capitali privati che hanno attese di profitto. Succede in tutte le grandi città del mondo ed è quello che è successo a Milano. I prezzi alle stelle sono l’effetto di un meccanismo di mercato a cui si aggiunge la forte perdita del potere di acquisto dei salari che nel 2021-2022 è calato del 13 per cento, salvo recuperare in parte terreno più di recente”. L’economista Carlo Cottarelli cerca di riportare a una dimensione reale il dibattito sul modello Milano, messo sotto accusa per avere promosso uno sviluppo immobiliare per ricchi.

“Dibattito – dice l’economista – che si fonda su una base ideologica che non tiene conto della sostenibilità economica dei progetti”. Insomma, nessuno fa i conti con i numeri. “Servono più case per rispondere alle esigenze abitative di una città che cresce? Bene – dice l’economista – facciamole, ma non si può pretendere di imporre il 50 per cento di edilizia residenziale pubblica perché vuol dire chiedere ai costruttori di rinunciare a guadagnarci”. Cottarelli entra nella storia della crisi immobiliare milanese, che, tra indagini e blocco dei cantieri, va avanti almeno da un paio d’anni, perché realizza uno studio in cui sostiene che un piano casa in chiave “sociale”, come quello varato dalla stessa giunta di Beppe Sala dopo che era stata criticata per avere espulso la classe lavoratrice dal centro urbano, è in sostanza utopistico. Apriti cielo, l’economista viene attaccato da più parti come se si fosse opposto alla necessità di realizzare abitazioni a prezzi più accessibili per i milanesi e non per avere messo in evidenza la scarsa sostenibilità economica di una visione sociale ma senza soldi. “Io dico che bisogna costruire più case e non meno case, ma bisogna farlo rispettando le aspettative di profitto di chi investe. Altrimenti, torniamo agli anni Settanta quando i soldi ce li metteva lo stato. Ma mi pare che non ce lo possiamo più permettere”.

Il mondo delle Acli e delle coop bianche ha ribattuto all’economista che loro sarebbero invece in grado di costruire più case abbordabili grazie al fatto che hanno aspettative di profitto meno esose dei grandi fondi esteri. La storica contrapposizione tra imprese di mercato e mondo coop ha conosciuto a Milano un capitolo inedito. “I fatti, però, dicono che ultimamente i bandi del Comune di Milano sono andati deserti proprio a causa degli elevati tetti di Erp. E’ evidente che con questi numeri i conti non tornano neanche per le imprese cooperative”. Quale sarebbe il tetto giusto di edilizia residenziale pubblica? “Con il 30 credo che ci sarebbero imprese disposte a sedersi al tavolo per ragionare”. Alcuni hanno fatto notare che il suo studio è stato commissionato dalle associazioni imprenditoriali come Ance e Assoimmobiliare e che da loro è stato pagato. “Ci mancherebbe altro che lavoro gratis! Non per questo le mie valutazioni sono meno scientifiche o meno rigorose. Non scherziamo: I fatti sono questi. Il resto è ideologia”.

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