L'Italia è dietro solo al Giappone per l'età media più alta

Quanto è preparata l’Italia per garantire una buona vecchiaia a un numero crescente di cittadini? A questa domanda ha cercato di dare una risposta il Longevity economic forum organizzato da Unicredit nella sede di Borsa Italiana lo scorso 28 maggio. Un quesito cruciale per quello che è il Paese con la seconda età media più alta al mondo (dietro al Giappone). Fortunatamente le ricerche realizzate in collaborazione con il National innovation centre for ageing (Nica) del Regno Unito e con Fidelity International e presentate a Palazzo Mezzanotte hanno delineato un quadro certamente suscettibile di miglioramenti ma comunque incoraggiante. Nell’Unicredit longevity index, che misura quanto i Paesi siano pronti a sostenere una vita più lunga e in salute, considerando comportamenti individuali, sistemi sanitari, ambiente fisico e condizioni sociali, l’Italia si colloca al 14mo posto su 30 Paesi analizzati (tutti europei con l’eccezione degli Stati Uniti). In cima alla classifica si trova la Scandinavia (Danimarca prima, Svezia seconda e Finlandia terza), mentre nelle ultime posizione si trova l’Europa dell’est (Romania ultima e Serbia penultima).
In Italia gli aspetti da migliorare riguardano lo stile di vita sedentario, le disuguaglianze territoriali e la fragilità psicologica. In particolare solo il 26,7% degli adulti italiani pratica regolarmente attività fisica aerobica, contro una media Ue del 44,3%; la speranza di vita sana alla nascita in Italia è di 70,74 anni, quasi un anno in meno rispetto ai Paesi nordici più avanzati; solo il 29,7% degli italiani tra i 25 e i 64 anni partecipa a programmi di istruzione o formazione continua, rispetto a una media europea del 46,6%. Accanto a queste sfide, l’Italia mostra anche dati incoraggianti: la speranza di vita complessiva resta tra le più alte d’Europa e il 43,1% degli over 65 si dichiara in buona o ottima salute, un dato superiore alla media europea (39,6%). "L’economia della longevità non riguarda solo il vivere più a lungo - ha sottolineato nel suo intervento il premio Nobel Michael Spence - Si tratta di ripensare interi settori, strategie di investimento e la società nel suo complesso”.
La Repubblica