Donazioni dei grandi patrimoni, crescono ma restano episodiche

Aumentano i donatori tra i paperoni italiani, ma restano ancora troppo pochi. E le donazioni continuano a essere un affare prevalentemente personale e occasionale, spesso dettato dall’impulso più che da una pianificazione consapevole. È questa la fotografia che emerge dalla terza edizione della ricerca “Le attitudini filantropiche dei wealthy people in Italia” realizzata dal Fondo Filantropico Italiano e da Finer – Finance Explorer, presentata a Milano. Lo studio, condotto su oltre 1.300 individui ad alto patrimonio e 278 wealth advisor, mostra come i ricchi italiani gestiscono il proprio impegno sociale. “Crediamo che le banche debbano avviare un paradigma nuovo in cui, invece di giocare di rimessa, siano in grado di anticipare e stimolare le azioni dei clienti sui temi delle grandi donazioni e della filantropia”, ha dichiarato Marcello Gallo, presidente del Fondo Filantropico Italiano, aprendo i lavori.
Secondo la ricerca, lo scorso anno il numero dei donatori è aumentato dell’1% rispetto al 2022. Il valore medio delle donazioni ricorrenti varia da 1.360 euro tra chi possiede un patrimonio compreso tra 500 mila e 1 milione, a 9.517 euro nella fascia tra 1 e 5 milioni, fino a 11.719 euro per i grandi donatori oltre i 5 milioni. Le cause più sostenute restano le emergenze sanitarie e umanitarie (49%), la ricerca scientifica (46%) e l’assistenza sociale e la lotta alla povertà (41%).
Il dato più rilevante riguarda però il ruolo in crescita dei professionisti della gestione patrimoniale: la quota di donatori che si affida a un consulente è passata dal 22% al 39% tra il 2022 e il 2025. In particolare, il ricorso al professionista della gestione degli investimenti è più che raddoppiato, dall’11% al 24%. Nella classifica delle figure di fiducia spicca il private banker, seguito da notai e family office, segno di una domanda crescente di accompagnamento professionale per trasformare le intenzioni filantropiche in azioni efficaci. Non a caso, il 74% dei wealth advisor intervistati considera la consulenza filantropica uno strumento cruciale per attrarre nuovi clienti e differenziarsi dalla concorrenza. “Il ruolo del banker è centrale”, ha sottolineato Nicola Ronchetti presentando i dati, “e a chiamarlo in causa è proprio il cliente. Dal sentiment rilevato emerge chiaramente che la filantropia nella banca può fare bene alla banca stessa”.
Sul palco milanese si è discusso anche di competenze. “Per assistere i clienti non bastano le conoscenze tecniche sugli strumenti finanziari: il consulente deve avere solide soft skills per far emergere i bisogni latenti e instaurare fiducia”, ha ricordato Aida Maisano, responsabile ABIFormazione. Due i modelli possibili: potenziare le competenze dei private banker già in attività oppure formare nuove figure specializzate, i consulenti filantropici, ancora poco diffusi in Italia. Antonella Massari, segretaria generale dell’Aipb, ha insistito sul gioco di squadra: “Il consulente fa da apripista, ma poi servono altri specialisti ad accompagnare il cliente lungo il percorso. Le banche hanno asset che potrebbero valorizzare di più, dalle collezioni d’arte ai progetti per il territorio”.
Un altro tema cruciale riguarda i patrimoni senza eredi: a causa dell’invecchiamento e del calo delle nascite, si stima che i lasciti possano toccare gli 88 miliardi entro il 2040. Oggi l’88% degli intervistati dichiara di voler donare in futuro tramite testamento, ma solo il 14% ha già redatto un atto a favore di organizzazioni non profit. Inoltre, il 61% dei donatori più abbienti prenderebbe in considerazione l’idea di affidare a un consulente filantropico l’esecuzione delle proprie volontà. Parallelamente, i donatori diventano più esigenti: il 79% chiede una misurazione chiara dell’impatto delle donazioni, mentre il 60% pretende aggiornamenti dettagliati sui progetti sostenuti. La consulenza filantropica si configura così come un valore aggiunto imprescindibile, utile per orientare le scelte dei donatori ma anche per rinsaldare il legame di fiducia con i wealth advisor.
Il tema è stato al centro anche della tavola rotonda guidata da Simonetta Schillaci, vicepresidente esecutivo del Fondo Filantropico Italiano, insieme a Cristiana Frulio (Crédit Agricole Italia), Stefania Pedroni (Intesa Sanpaolo Private Banking) e Giovanni Ronca (Ubs Italia). “La filantropia è un ecosistema che funziona grazie alla sinergia di tre attori chiave”, ha concluso Schillaci. “Il donatore non vuole soltanto allocare fondi, ma vivere un’esperienza consapevole e accompagnata. Il consulente filantropico guida il percorso, mentre wealth advisor e intermediari hanno un interesse strategico: supportando percorsi professionali di donazione, rafforzano il rapporto di fiducia con i propri clienti e accrescono la reputazione della banca”.
La Repubblica